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Una “stock car” non è una vettura di serie ma una “covered wheels” perchè le ruote, tutte e quattro, devono essere coperte dalla carrozzeria; quest’ultima, inoltre, è generalmente e solo “stock appearing”, ossia somigliante ad una vettura originalmente prodotta da una Fabbrica di automobili, come specificato nel regolamento della Association che legifera in materia, a seconda delle sue competenze, per lo più limitate territorialmente.

Questa è la realtà odierna e riguarda la legislazione sportiva vigente per le “stock cars”: all’epoca della fotografia, in alto, Marshall Teague guidava una vettura disponibile a chiunque l’avesse potuta comperare presso una Concessionaria Hudson, Marca indipendente risorta dopo la Guerra e la pausa interamente dedicata alla produzione di materiale bellico. Osservando attentamente la foto si può osservare che il finestrino lato-guida dispone anche del deflettore (aperto): il volante, la leva del cambio, il cruscotto ed il sedile erano quelli originali e solo la progettazione di un telaio con un centro di gravità molto basso (rispetto alla concorrenza) permise alla Hudson di superare, per qualche anno, le vetture iscritte alle gare dalle Big Threes di Detroit.

Il circuito delle “stock cars” affonda le proprie origini in un atto legislativo, approvato il 29 Gennaio 1919, il XVIII Emendamento Costituzionale, meglio noto come “proibizionismo” e consistente nel divieto assoluto di produrre, trasportare e commercializzare alcool destinato alle bevande; questa proibizione e gli effetti che ne derivarono (contrari rispetto a quelli attesi) uniti al periodo della Grande Depressione, provocarono un aumento generalizzato di tutte le attività illegali, ivi compresa quella di “bootlegger”, corriere dell’alcool, noto anche come “moonshiner” dato che il suo lavoro era prevalentemente notturno (vedi The Track).

Tutte queste circostanze sfociarono, per esigenze pratiche, in una diffusione epidemica delle elaborazioni a motori, telai e trasmissioni ed in un aumento significativo degli americani in grado di surclassare le prestazioni delle auto della Polizia e l’abilità di guida dei migliori tra i “cops”, Poliziotti.

Chi non se la sentiva di rischiare la patente, o non amava essere rinchiuso tra le mura di una prigione per qualche settimana, aveva una sola alternativa: le corse sulle dirt tracks (terra battuta) improvvisate nei campi, alla periferia delle Città negli Stati Sud-orientali (Costa Atlantica e del Golfo del Messico). E’ provato da valide testimonianze che le elaborazioni provenivano dalla California, dove la realtà era leggermente diversa. In questo Stato la frequentazione degli ovali, da parte dei teen-agers, era ancora dovuta alla caccia della Polizia, ma non legata al proibizionismo, bensì alle corse illegali disputate sui viali di Los Angeles.

I possessori californiani di hot roadsters non dovevano pagare tassa di iscrizione: le Piste note come “Newhall”, “Carrel Speedway”, “Bonelli Stadium”, “Oakland Stadium” e “Firestone Boulevard Motordrome” (tutte nei dintorni di Los Angeles) assicuravano un ingaggio (molto più basso di quello ottenibile sulle board-tracks) a chiunque decidesse di correre, integrato da premi in natura (lubrificante, carburante e candele) in caso di vincita: se poi il fortunato driver aveva la capacità di vincere il “Main Event”, la competizione alla quale erano ammessi i Campioni ed i vincitori delle manifestazioni di contorno, il premio era semplicemente raddoppiato. I gestori si preoccupavano anche del pubblico proponendo una Miss per le premiazioni e la presenza in pista di uno speaker travestito da clown che massacrava (naturalmente a parole) i novellini: curiosamente lo speaker-clown era sempre chiamato “Charlie”.

E’ naturale che la regolamentazione “sportiva” fosse stabilita, autonomamemnte, da ciascun proprietario di pista, ma risulta anche una certa omogeneità di regolamentazione dovuta alle medesime modifiche apportabili ad una vettura acquistata da papà presso il più vicino Concessionario, magari una decina d’anni prima che il figlio decidesse di correre. In ogni caso il gergo delle piste individuava queste vetture come “modified”, modificate.

Questa la realtà del “turning left” prima e dopo lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Tale realtà consentì ad un benzinaio operante a Daytona Beach, Florida, la preparazione, il mantenimento e l’utilizzo di un ovale unico: innanzitutto era molto più lungo delle altre dirt-tracks, raggiungendo la lunghezza di oltre tre miglia; in secondo luogo era per una scarsa metà asfaltato essendo che le due uniche curve univano la spiaggia sul bordo dell’Oceano Atlantico alla strada costiera. Bill France Senior era un organizzatore nato e riuscì a gestire la pista nonostante la spiaggia fosse famosissima come “the beach” a causa degli innumerevoli tentativi di record già disputati su quella stessa sabbia a partire dai primi anni del 1900. Mr. France poteva contare sull’aiuto della moglie, la signora Anne, per gli aspetti contabili e la memorizzazione dei punteggi, ma già nel 1946 iniziò a rendersi conto che “lo sport”, in varia misura diffuso ovunque, necessitava di una regolamentazione uniforme, possibile soltanto con la creazione di una vera Organizzazione a livello nazionale. Per questa ragione convocò nei locali dello Streamline Hotel di Daytona (14 Dicembre 1947) gestori di piste, piloti ed elaboratori al fine di discuterne: in breve il 21 Febbraio 1948 fu stilato l’atto ufficiale di costituzione della “National Association for Stock Cars Auto Racing” alla quale aderirono immediatamente circa seicento drivers, la maggioranza dei quali proveniva da famiglie di bootleggers od era stato personalmente un moonshiner (e questo fatto venne reso di pubblico dominio soltanto molti anni dopo...).

La presenza della N.A.S.C.A.R. e la sua autorità (interamente dovuta alla volontà di Bill France Senior che ne fece, dall’inizio, un vero “affare di famiglia” pur di non perderne il controllo) dilagarono su tutte le piste degli Sates (con alterne fortute e molte critiche, soprattutto in Europa), permettendo la creazione di un impero che oggi può contare su oltre trecento piste affiliate e su circa sessantamila piloti muniti di Licenza: naturalmente partendo dal novellino (“rockie”) e diversificando in varie categorie vari tipi di “covered wheels”, inclusi i pick-ups e le “jalopies” (ciabatte).

Contrariamente all’immagine che si è erroneamente andata creando in Europa, la N.A.S.C.A.R. è attivissima nel miglioramento delle norme di sicurezza (criticate, caso mai, solo da chi pensa di risparmiare in questo settore): dalla obbligatorietà del roll-bar sulle vetture scoperte (le “cabriolet” ammesse a correre solo nei primi anni cinquanta) alla sua evoluzione nel “roll-cage”, definito dalle altre Association motoristiche (che lo hanno successivamente adottato) “N.A.S.C.A.R. type”; dalla mitica saldatura delle portiere nelle vetture originali, integrate dalla rete di ritenzione (certificata in fatto di resistenza) al finestrino lato-guida; dalla discussa adozione delle “restrictor-plates” per limitare le alte velocità raggiunte negli anni sessanta e settanta, fino agli studi aereodinamici in galleria del vento (condotto con la collaborazione delle Big Threes) per rendere più stabile la vettura che viaggia perennemente oltre i duecento all’ora, sulle piste più lunghe. Fino all’adozione del collare Hans ed alle barriere ad assorbimento d’energia S.A.F.E.R. che sostituiscono i pericolosi muretti in cemento a bordo pista.

Rivale della N.A.S.C.A.R. era la American Speed Association, A.S.A., che consentiva, dal 1999, l’iniezione elettronica di carburante come principale motivo di novità, ma che è abbastanza limitata in quanto a diffusione sul territorio nazionale, con il nome A.S.A. Racing, dopo il fallimento del 2004 dovuto a problemi finanziari causati dall’ennesimo tentativo di espansione.

Il principale campionato N.A.S.C.A.R. è quello denominato “Nextel Cup”, dal nome dello Sponsor, immediatamente sopra alla “Busch Series” più adatta ai principianti. Il Calendario Nextel Cup 2006 prevede 41 Gare (esattamente come nel 1951) ma 4 di queste non comportano l’attribuzione del puntegio: 3 di 4 sul circuito di Daytona, durante la “Speed Week” (Febbraio) e 2 di 3 sulla Lowe’s Motor Speedway a Maggio. Tutto il campionato si svolge su 22 piste che assumono caratteristiche piuttosto dissimili: si tratta delle “intermediate tracks” della lunghezza di un miglio o poco più, dieci; “flat tracks” con “banking” inesistente o limitato, Indianapolis, Phoenix, Las Vegas, Pocono, New Hampshire; “restrictor plates” sono le “superspeedways”, velocissime, Daytona e Talladega, sulle quali è obbligatoria la piastra interposta tra quadricorpo e condotto di aspirazione per limitare l’afflusso di carburante; “short tracks”, Bristol, Richmond e Martinsville, piste corte (meno di un miglio) sulle quali è impossibile raggiungere alte medie. Vi sono, infine, due “road courses”, circuiti stradali, Infineon e Watkins Glen. In modo particolare su queste ultime due l’assetto di una stock car cambia sostanzialmente. E’ noto che le sospensioni di tutte le vetture che “girano” su una oval track sono asimmetriche: in origine i bracci delle sopsensioni erano di differente lunghezza (il destro più lungo) e la taratura della rigidità di ammortizzatori e molloni seguiva questa architettura. Le moderne stock cars fanno affidamento su altre soluzioni (in gergo si tratta dello “stagger”). più compatte e meglio gestibili, basate anche sulla differente circonferenza delle gomme (roll-out) per adeguare la reattività delle “masse sospese”. Sui circuiti stradali, per questo motivo, viene preparato un telaio più “simmetrico” il quale, comunque, deve essere verificato ed approvato dagli Officials, come tutto il resto in ogni altro tipo di competizione.

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Sceriffo di Contea ed Agenti Federali mostrano, orgogliosi, l’attrezzatura sequestrata in una distilleria clandestina di alcool, durante gli anni della “Grande Depressione”.

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La foto a lato risale alla fine degli anni quaranta del secolo scorso: la pista è ricavata molto sommariamente in una radura e primitivi sono i mezzi di recinzione, neppure mantenuti in efficenza. Le auto sono indubbiamente quelle di due “moonshiner” che usavano le vetture anche per il loro lavoro notturno. In questo ambiente si formarono i primi leggendari campioni della N.A.S.C.A.R.

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Con appellativo molto irrispettoso queste vecchie e modificatissime auto sono chiamate “Jalopies”, cibatte.  In alcuni casi le meglio conservate sono chiamate “legends”. Oltre a correre su dirt-tracks e short tracks, gli esemplari meno performanti sono spesso impiegati nella disputa dei “Destruction Derbies”, competizini ad eliminazione in cui la pista è modificata con una intersezione centrale tra le quattro curve, ove ogni driver cerca di buttare fuori pista o immobbilizzare gli avversari.

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Street Stock: una vettura regolarmente circolante su strada, con alcune integrazioni (vedi rolla-cage) che può competere su piste asfaltate o in terra: il primo gradino per accedere alle competizioni ed ai Campionati più importanti.

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Late Model: Il telaio, completo di roll-cage, è autocostruito e vestito con la carrozzeria “più o meno” simile a quella di un modello in produzione. Tutte le Associations che legiferano nell’ambito delle stock cars hanno in programma gare e Campionati per queste vetture: possono essere considerate un gradino intermedio tra la street-stock e la stock car vera e propria.

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Dirt Late Model: è destinata a correre su dirt-tracks (argilla, come nell’esempio a fianco), ed ha un aspetto molto più approssimativo rispetto alle sorelle che corrono su asfalto.

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Le prime stock cars, negli anni cinquanta, erano veramente vetture da strada, elaborate da maghi come fu Smockey Yunich, sfruttando le potenzialità intrinseche di alcuni modelli, come questa Hudson. In effetti rimanevano le cromature esterne, l’abitacolo era pressochè originale e persino le portiere, nei primi anni, mantenevano la loro funzionalità.

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Negli anni sessanta e settanta la stock car viene profondamente modificata: le Case di Detroit commercializzano modelli appositamente studiati per il circuito N.A.S.C.A.R. ed in pista scendono esemplari preparatissimi con importanti modifiche alla telaistica ed alle sospensioni: vetture come la “43” di Richard Petty sono in grado di percorrere il giro su una superspeedway come Talladega a medie molto vicine alle 200 mph, 320 km/h.

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Le odierne stock cars sono semplicemente “stock appearing cars” la cui linea familiare è ottenuta con pannelli applicati ad un sofisticato e robustissimo telaio in tubi, sempre completo di roll cage. Nessun particolare della vettura ha neppure lontana parentela con il modello prodotto dalla Fabbrica. La potenza dei motori è molto vicina agli ottocento cavalli, il carico aereodinamico impensabile per una vettura circolante su strada. Il futuro  imminente riserverà linee molto più squadrate perchè si sta cercando, ancora una volta, di limitare in qualche modo la velocità massima raggiungibile da queste macchine.

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La misteriosa, per molti, COT o “Car of Tomorrow” annunciata nel 2006 ed attesa nelle prime gare sperimentali nel corso della Nextel Cup 2007. Molte le modifiche all’aereodinamica (muso ed alettone posteriore regolabile) ed ancor più quelle profuse nell’abitacolo (allargato, rialzato e protetto da piastre d’acciaio annegate nei pannelli laterali). Le C.o.T saranno presenti soltanto su alcune piste e sono già state (Aprile 2007) presentate ai Tech’s NASCAR per le verifiche di rito.

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Lo spaccato di una “Car of Tomorrow” rilasciato dalla N.A.S.C.A.R. Da notare, iniziando dal muso: l’alettone anteriore ed il musetto arrotondato; l’abitacolo allargato e rialzato; le piastre laterali all’altezza delle portiere; il serbatoio di sicurezza; l’alettone posteriore regolabile.

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Dedicato a chi continua a tradurre “stock car” con il bruttissimo ed inappropriato “macchina di serie”. Quello a fianco è il vero “stock car” o “van”, il vagone merci coperto dei treni che, prima della costruzione delle highways, trasportava qualsiasi cosa, ovunque, negli States.

1951: Daytona Beach, the Race for “Modified” cars.

1951: Daytona Beach. Grand National Race for “Stock Cars”.

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