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“The Beast”, la Harley-Davidson di Chet Herbert, un ragazzo paralizzato alla gambe dalla poliomelite, pare sia stata la prima “chopper” mai realizzata: se qualcuno può mettere in discussione questo primato, a causa della scarsa documentazione disponibile, è, invece, assodato che questa moto, pilotata da Al Keys e messa a punto con l’aiuto di Roy Felkner, riuscì a surclassare per tre stagioni consecutive tutte le auto che le erano opposte in accelerazione, sulla classica distanza del quarto di miglio. Il motivo della supremazia è tutto nel rapporto peso:potenza, più favorevole per la moto rispetto all’auto ed in alcuni dettagli (asse a cammes e forcella anteriore allungata) che furono presto imitati da altri “riders”.

Per molti anni, fino alla fine degli anni cinquanta, più o meno, le moto furono regolarmente opposte alle automobili, ma motivi prudenziali centrati sulla sicurezza, posero fine a questi entusiasmanti confronti, limitando, di fatto, lo sviluppo della moto preparata per accelerare, o “drag bike”.

In effetti le drag-bikes apparvero, più o meno saltuariamente, in molte esibizioni organizzate dalle tre Assosiations della drag race (tutte e tre prevalentemente orientate verso le 4-ruote) e molti esperimenti, condotti da privati, erano tesi al raggiungimento delle prestazioni sempre crescenti delle auto: quest’ultime, a partire dai primi anni sessanta, potevano contare sull’impiego di combustibili particolari (benzina avio, metanolo, nitrometano) e sull’adozione, nelle Classi superiori, del compressore volumetrico.

Gli esperimenti, esaurita la gamma delle elaborazioni possibili ai propulsori motociclistici, iniziarono ad imboccare la strada del trapianto di motori automobilistici, come lo smal-block (cilindrata sopra i cinque litri) prodotto dalle Big Threes di Detroit, ma fu immediatamente evidente che il vantaggio della maggior coppia e potenza disponibili si traduceva in un immediato e drastico aumento della massa da muovere. In effetti, per piccolo che fosse, il monoblocco era studiato per essere sistemato nell’ampio cofano di una berlina e non tra le gambe di un rider; inoltre la trasmissione del moto, dal volano alla motrice, presentò, dagli inizi, problemi di pura architettura meccanica non facilmente risolvibili. L’adozione di un doppio (ed anche triplo) propulsore poteva, più tardi, risolvere parte dei problemi, ma ciò che mancò alle drag-bikes fu lo sviluppo garantito dalla presenza di Sponsors (anche tecnici) generosi. Si pensi, ad esempio, che le slicks, le gomme dalla mescola morbida che assicurano trazione, erano larghe appena sette pollici, meno di 18 centimetri.

Per molti anni, fino agli anni novanta, di drag-bikes si parlò esclusivamente a livello di curiosità e stranezza tecnica.

Gli importatori di moto giapponesi, quegli stessi che rischiarono di far naufragare il marchio Harley-Davidson, approfittarono della possibilità di sponsorizzare il Campionato Nazionale N.H.R.A. mediante la fornitura di motoveicoli utilizzati in pista per la sorveglianza e la sicurezza: chiesero di reintrodurre la classificazione per le moto.

Dapprima con l’aiuto della American Motorcycle Association ed in fase sperimentale, la National Hot Rod Association accettò la sfida con moto praticamente originali sulle quali era consentito l’impiego delle wheelie bars, il telaio ausiliario posteriore dotato di due ruotine che impedisce l’impennata e mantiene la moto orizzontale: obbligatoria l’alimentazione a benzina in commercio, e partecipazione limitata ad una mezza dozzina di prove a livello nazionale.

Accanto a queste, poi tolte dalla regolamentazione (anche perchè migrate in altre Associations), la Classe dedicata ai Professionals, la Pro Stock Bike, divenuta successivamente una delle quattro categorie di punta di questa Association.

Una moderna Pro Stock Bike si basa su modelli prodotti dopo il 1998, ma la possibilità di usare aftermarket parts è assai estesa, tanto che i tempi sul quarto di miglio sono già scesi, in alcuni casi (2005-2006) sotto il limite dei sette secondi e la velocità di uscita è ormai compresa tra le 185 e le 190 miglia l’ora (intorno ai 300 km/h).

Il peso di una Pro Stock Bike varia a seconda della motorizzazione (Harley, Suzuki, Kawasaki) ma non supera i 250 chilogrammi (da 565 a 615 libbre) con il rider a bordo: di contro la potenza è valutabile intorno ai 300 HP S.A.E. ed il passo è limitato ad un massimo di 70 pollici (177,8 cm.). Il telaio è ricavato da tubi in acciaio al cromo-molibdeno (4130 chromoly steel) integrati dalle wheelie-bar, il telaio ausiliario posteriore (estende fino a 130 pollici la distanza dall’asse della ruota anteriore) che consente di mettere in assetto ottimale la moto, soprattutto in fase di launch. La carrozzeria è la replica (molto affinata aereodinamicamente) di un modello in produzione. La wheelie bar può essere carenata (pannelli laterali).

Le limitazioni alla elaborazione dei motori dipendono dalla Marca impiegata e dall’architettura: sono quindi differenti per il bicilindrico a V dai due o quattro in linea: il monoblocco può essere prodotto “aftermarket”. L’alimentazione è limitata alla benzina, anche se di tipo “racing”, ad alto numero di ottano. La frizione è composta da ben 18 dischi, 9 in metallo e 9 in fibra di carbonio, ma è comandata da un dispositivo pneumatico manovrato dal rider. Non sono ammessi congegni elettronici di inserimento delle sei marce (massimo consentito).

Le slicks posteriori hanno un’impronta massima di 10 pollici (25 centimetri e mezzo) ed un diametro di 26 pollici (cm. 66,04); i freni sono ai disco, due anteriori in fibra di carbonio con un diametro massimo di 8 pollici (cm. 20,32) ed uno posteriore con diametro massimo di 8 pollici e mezzo.

Interessante l’equipaggiamento di sicurezza, basato su tuta ignifuga integrale e casco in fibra di carbonio, spesso dotato di appendici, o disegno aereodinamico che riduca l’impatto del flusso d’aria sul capo del pilota; un altro dispositivo, sempre più frequentemente usato, è un laccio legato al polso, collegato alla moto, che agisce da cut-off elettrico e di alimentazione nel caso il rider dovesse essere separato dal veicolo. Non sono ammessi paracadute per la frenata.

In tema di Organizzazioni interessante la All Harley Drag Racing Association, fondata nel 1978 da una cinquantina di puristi, oggi assurta a livello nazionale con un proprio campionato frequentato da centinaia di bikers e migliaia di spettaori.

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1949: “The Beast”, molto probabilmente la prima “chopper” della storia. Questa Harley rimase imbattuta, anche nei confronti con le auto, per ben tre stagioni consecutive.

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1953: drag strip di “Paradise Mesa”: le moto gareggiano contro le auto e le battono regolarmente.

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Anni settanta: un doppio propulsore installato in un telaio autocostruito per produrre maggior potenza.

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Nel medesimo decennio si evolve anche lo “swapping” (trapianto) di propulsori 8V automobilistici...

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...ma non manca chi prova empiricamente l’aereodinamica ...

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... e chi, copiando l’architettura dei dragster a 4 ruote, prova il “rear engine” (sempre 8V).

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Angelle Seeling (poi Savoy, poi Sampey...) un mito tra i bikers d’oltreoceano: la donna che ha saputo conquistare un numero tale di vittorie da riuscire a scalzare Shirley Muldowney, la ex-regina della drag race.

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La PRO STOCK BIKE, oggi, è così.

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