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Le scienze collegate alla psiche umana hanno, per quel che è dato sapere, scarsamente affrontato la personalità dello hot rodder. Non è assolutamente il caso di affermare che avrebbero potuto o dovuto, perchè è altamente probabile che lo hot rodder si sarebbe, comunque, rifiutato. Infatti, la più calzante definizione di hot rodder è stata formulata da Dan Roulston, nel 1966: ”Autodidatta ed ingegnoso meccanico-operaio-ingegnere che rifiuta di accettare le limitazioni teoriche e non comprende le espressioni ”non si può” od “è impossibile” quando si parla di auto. In buona sostanza lo hot rodder è un solitario-individualista con una chiave inglese”. Personalmente allargherei il campo alla tecnica in generale e non limiterei il concetto alle sole automobili.

Il moderno hot rodder (quarant’anni dopo la definizione di Roulston) è quasi sicuramente dotato di un computer, rigorosamente sistemato in un angolo del garage, può contare su una buona biblioteca di testi tecnici specializzati e non è più tanto solitario, almeno quanto poteva esserlo suo padre o suo nonno: queste le sole differenze con la prima generazione di hot rodders.

Ad ogni buon conto, sotto qualsiasi profilo lo si voglia osservare, lo hot rodder è, in qualche modo, una persona speciale.

Perchè è in grado di concepire, studiare, realizzare e provare ciò che altri rifiutano a priori. Mi bastano due soli esempi. Chi avesse pensato, nel 1963, che era possibile “accelerare” in acqua aveva molte probabilità di essere sommerso (letteralmente) da argomentazioni “teoriche” che iniziavano con l’enunciazione della densità dell’acqua (800 volte più dell’aria) e terminavano con una sequela di illustri architetti navali, a partire da Leonardo da Vinci, per dimostrare che la cosa era “materialmente impossibile”. Un illustre sconosciuto, Rich Hallet, invece, ideò l’integrazione della carena a tre punti con la portanza aereodinamica e l’utilizzo di eliche supercavitanti per consentire ad una “barca” di accelerare in quattrocento metri, con partenza da fermo, fino a 270 chilometri orari. Il bello è che ci riuscì con i fatti provati. “Banzai” di Barry McCown, record sul quarto di miglio in acqua, durato qualche settimana: oggi si superano i 375 km/h.

Quando, finalmente, gli hot rodders riuscirono a spremere da un 8V qualche cosa di più di 5.000 HP SAE, il differenziale si rivelò il punto debole dei dragsters e delle funy cars: andava letteralmente in pezzi, seminando detriti e lubrificante lungo la strip. Finchè un ignoto hot rodder non capì che tutto il moto galileiano di satelliti e planetari non gli serviva affatto: e fuse in un solo pezzo di acciaio semiassi e corona per evitare inconvenienti. Da quel momento in poi il differenziale di un top fuel può sopportare più di 8.000 HP SAE, perchè non ha assolutamente bisogno di ripartire percentuali di moto in dipendenza del raggio di una curva: gli basta il 50% esatto su ogni asse.

Dopo queste affermazioni è praticamente impossibile descrivere chi è uno hot rodder, come ragiona e quali cose potrebbe avere in mente: se non si è in grado di immaginare l’alchemico vulcano alimentato da una volontà inossidabile per le cose impossibili, è inutile proseguire.

E’, invece, importante cercare di capire: lo hot rodder è quel tipo di uomo (o di donna) che ha fatto affermare ad un Giornalista americano: “il movimento degli hot rodders costituisce per le grandi Fabbriche di Detroit il più aggiornato, avanzato ed affidabile Reparto Esperienze Speciali sul quale possano contare per stabilire i trends del futuro: oltretutto ha una diffusione capillare su tutto il territorio nazionale e pesa meno di un centesimo di dollaro sui loro bilanci perchè i presunti dipendenti non figurano a Libro-Paga”.

Lo hot rodder è molto simile, nel modo di ragionare, a Thomas Alva Edison (1847-1931), l’inventore della lampadina e detentore di milleduecento brevetti. La sua famiglia non poteva mandarlo a Scuola ed a 12 anni fu costretto a lavorare (vendendo giornali sui treni). Il suo primo laboratorio fu un vagone ferroviario abbandonato. Per trovare il filamento che garantisse il funzionamento (per un periodo di tempo sufficientemente lungo) della lampadina, provò qualcosa come mille materiali diversi. Ecco che cosa significano “ingenuity”, “trial and error” e “craftmanship” quando sono applicate per raggiungere uno scopo.

Altrettanto essenziale sapere che lo hot rodder è stato, è, e potrà essere hot rodder, magari senza saperlo: non si impara ad essere hot rodder; non esistono scuole o corsi per diventare hot rodder; non si può pretendere di essere hot rodder. E’ una condizione molto simile all’innamoramento od allo stato privilegiato dell’apprendista che affronta con entusiasmo l’arte di imparare e non ne è mai sazio.

Personalmente credo lo hot rodder sia l’alchimista della tecnica che ha vissuto, vive e vivrà a cavallo del secondo  e del terzo millennio.

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Mickey Thompson, uno dei più prolifici hot rodder della prima generazione, ex tipografo del “Los Angeles Times”, attivo sia sui dry lakes che sulla drag strip.

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Smokey Yunich, uno hot rodder “vero”.

Nato il 25 Maggio 1923 a Neshaminy, Pennsylvania.

Morto di leucemia il 9 Maggio 2001 a Daytona Beach, Florida.

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Wally Parks, il vero decano di tutti gli hot rodders. La sua presenza nel mondo dello hot rodding inizia nel 1937 all’atto di fondazione della South California Timing Association; continua nel 1948 al momento della fondazione di HOT ROD Magazine; prosegue nel 1951 con la costituzione ufficiale della National Hot Rod Association e termina nel 1998 con l’apertura del N.H.R.A. Museum, poi intitolato a Parks stesso in occasione del suo novantesimo compleanno. La sua determinazione nella ricerca della legalità e dell’organizzazione è condensata nella frase: “fu l’uomo giusto, nel luogo giusto, al momento giusto”.

Nato a Goltry, Oklahoma il 23 Gennaio 1913.

Morto a Burbank, California il 28 Settembre 2007.

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