Si deve subito precisare che, nonostante l’entusiastica descrizione di ciò che era avvenuto nell’autunno del 1966, il sand dragging non è risultato, nei successivi decenni, una disciplina diffusa e popolare quanto lo è stato, ad esempio, il drag boating (accelerazione in acqua), ma va anche detto che è, comunque, praticata in molti Stati, ove le condizioni orografiche lo consentono.
La principale difficoltà del sand-dragging si manifesta alla partenza, ovviamente per colpa del tipo di superficie. La sabbia (con il fango) è uno dei terreni più insidiosi per la trazione di un veicolo a motore e l’obbiettivo di accelerare si potrebbe definire “incompatibile” con la superficie stessa.
Per questa serie di ben note difficoltà i racers di allora affrontarono empiricamente il problema con due tipi di soluzione, in pratica diametralmente opposte: la trazione su quattro ruote e l’applicazione di pneumatici particolari su veicoli già preparati per l’accelerazione su asfalto.
Attingendo ai veicoli da cantiere ed alle loro speciali esigenze, i dragsters furono dotati di cerchi da 12” e pneumatici “palettati” che presumibilmente avrebbero dovuto assicurare maggior presa, mentre dune-buggies, Jeeps e Toyota Land Cruiser montavano i loro abituali battistrada scolpiti. Ciò che si verificò, dopo una dozzina di partenze, l’inderogabile esigenza di procedere al livellamento della starting-zone dove si era creato un fosso profondo almeno mezzo metro, dal quale i Concorrenti si rifiutavano di partire. Le successive esperienze con pneumatici accoppiati (sia sui dragsters che sui dune-buggies, ma anche su alcune jeeps) non permisero la soluzione definitiva: questa fu trovata (quasi subito) nell’ adozione di un escavatore che procedeva al livellamento dei primi venti metri di persorso ad intervalli regolari. In seguito a questa procedura la regolamentazione prevedeva la possibilità che i veicoli “partiti in condizioni disagiate” potessero ripetere il “run”.
Con il passare del tempo un altro problema iniziò ad affliggere i mezzi impegnati nel sand-dragging. La sabbia finissima sollevata dalle brutali partenze è una specie di spray incontrollabile, diffuso ovunque nell’aria e ovunque (casualmente) si deposita o si infiltra: molti dune-buggies (water- od air-cooled) avevano già sperimentato l’adozione di generosi filtri dell’aria sempre adottati sui veicoli da cantiere, per scongiurare i danni provocati dalle invisibili particelle infiltrate nelle sedi delle valvole, tra camicia del cilindro e parete del pistone, pompe dell’olio e così via. Per un certo periodo di tempo il veicolo impegnato nel sand-dragging era caratterizzato dalla visibilissima presenza di filtri dell’aria multipli o surdimensionati.
L’evoluzione del sand dragging ha visto nascere e declinare un gran numero di Organizzazioni, quasi sempre limitate territorialmente a bacini di utenza piuttosto limitati, ma è innegabile che la sua diffusione abbia toccato un pò tutti gli Stati d’America. La più nota è attualmente la American Sand Drag Association.
I veicoli impegnati in questa disciplina si possono descrivere come adattamenti delle drag-cars di tutti i tipi alle esigenze dettate da un terreno di gara così particolare che, comunque, non è più sabbia, almeno nella stragrande maggioranza delle strips attualmente operative. La superficie più diffusa è la terra “smossa” anche se la specialità continua a mantenere la vecchia denominazione.
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