Sidebar-top02
Euro_flag02
Italia02
GB_flag02
USA02
childsafe
theTrack02
Indy193602

Le somiglianze tra l’anfiteatro romano, la pista ippica ed un ovale sono molto più profonde di quanto non si possa dedurre osservando la semplice forma geometrica. In alcuni casi la collocazione delle stalle e degli alloggi dei gladiatori corrispondono quasi perfettamente alle attuali posizioni dei garages e degli uffici. Per ultimo la direzione che seguivano bighe e cavalli è rimasta immutata per oltre duemila anni.

Chi vuole stupire i propri Lettori, nel terzo millennio, quando per caso si può parlare di Indianapolis, crede giusto affermare che “in origine” la pavimentazione del famosissimo catino era costituita da mattoni; i più informati dicono che sulla linea del traguardo era stato inserito un mattone d’oro.

Il creatore della International Motor Speedway, Carl G. Fisher, affidò la supervisione della costruzione ad un ingegnere di New York, P.T. Andrews, il quale stabilì, in dipendenza del calendario già fissato da Fisher, che la pavimentazione più conveniente sarebbe stata quella costituita da pietre saldate da asfalto. Le prime competizioni ospitate dalla pista furono alcune gare di biciclette, la partenza di un raduno di palloni aereostatici ed una gara automobilistica che si risolse in tragedia con un morto tra i concorrenti e due spettatori. Tutto a causa delle pietre finite di sistemare poco prima dell’inaugurazione, avvenuta il 2 Luglio 1909.

La America Automobile Association minacciò di togliere l’agibilità alla pista e fu per questo motivo che all’originaria pavimentazione, sempre su consiglio di Andrews, furono sovrapposti oltre tre milioni di mattoni appoggiati e pressati su un letto di cinque centimetri di sabbia, anche questa compressa, trattenuta da un cordolo di cemento. Il famoso “golden brick”, mattone d’oro, fu sistemato sulla linea di partenza alle due pomeridiane del 17 Dicembre 1910 dal Governatore dell’ Indiana, ma non era d’oro, bensì di una lega di bronzo e rame, la medesima usata nella costruzione dei carburatori allora in uso.

Il mattone, in origine sistemato solo durante le gare, veniva esposto negli uffici in città e sparì definitivamente dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale.

Mr. Fisher era un tipo molto particolare, risoluto e comunicativo, capace, anche di convincere il prossimo e di spronarlo nella direzione da lui voluta. Non tutti gli esseri umani, neppure quelli amanti della velocità, sono così. Ciò non toglie che molte persone pensassero al motociclismo ed all’automobilismo sportivi come ad un business, pur non sognando neppure di costruire una pista dallo sviluppo di due miglia e mezza, pavimentata in asfalto e pietre o mattoni.

La domanda di competizioni, già nei primi anni del secolo scorso, era, però, negli U.S.A., assai alta ed è per questo motivo che nacquero le “board tracks”, piste totalmente costruite in legno. “board” è, infatti il termine usato per definire un’asse di legno, quelle usate nell’industria delle costruzioni. Artefice di molte tra queste piste la Prince Speedway Company, attivissima tra il 1911 ed il 1928, specializzatasi proprio nella costruzione di piste a pianta tonda od ovale con le curve debitamente “banked” (inclinate) allo scopo di limitare gli effetti della forza centrifuga.

“Oakland Motordrome” costruita di fronte a San Francisco nel 1911, tonda con inclinazione di 40°; 1916, addirittura due miglia di sviluppo, a Chicago, con due soli curvoni inclinati di 16°, capace di ospitare fino ad 85.000 spettatori; 1921, ancora San Francisco, “Greater San Francisco Speedway” capace di 40.000 posti; 1924, Charlotte, Stato dell’Alabama, lunga 1.25 miglia con inclinazione costante di 40°, prima di una lunga serie di ovali costruiti ed utilizzati in questo Stato; Atlantic City Speedway, un miglio e mezzo di sviluppo e banking di 45°, definita velocissima (record ufficile della velocità sul giro superiore ai duecentotrenta chilometri orari, durante gli anni venti); 1926, Miami Beach, un miglio e mezzo con banking esagerato di 50°, mai utilizzata perchè distrutta da un tornado subito dopo l’inaugurazione; 1929 Beverly Hill Speedway, in luogo della quale, dopo la demolizione avvenuta nel 1935, fu costruito il famosissimo Wilshire Hotel.

Le board-tracks, però, avevano due (e forse anche più di due) difetti: il legno è materiale deperibile, quando esposto alle intemperie (pensate agli inverni di Chicago...), e tende a modificare le proprie caratteristiche fisiche, allargando in vario modo le giunture tra un elemento e quello contiguo. Di conseguenza le piste in legno avevano vita brevissima: nessuna rimase in esercizio per più di cinque o sei anni. A causa di questa caratteristica, e nonostante le presumibili tecniche (avanzate per quei tempi) di realizzazione, il tracciato percorso a velocità altissime provocava la sconnessione dell’anello di legno ed il verificarsi di incidenti mortali frequentissimi. Un pilota di board-track era pagato profumatamente (dai 500 ai 3.000 dollari dell’epoca per una sola competizione) ed il prezzo di ingresso non esattamente economico: fiutando l’affare la malavita, nella convinzione, probabilmente esatta, che le board-tracks fossero frequentate da gente danarosa, impiantò un ciclopico giro di scommesse illegali che era destinato a perdurare ben oltre i limiti fisici della sopravvivenza degli impianti.

Il 1929, l’anno del Giovedì nero di Wall Street (24 Ottobre), ebbe conseguenze anche sulllo sviluppo del turning-left: solo nel Sud California i teen-agers continuarono ad utilizzare vecchie piste ippiche abbandonate per sfogare il loro continuo desiderio di velocità. Negli Stati del Sud, però, il possesso di macchine in qualche modo elaborate non scoraggiò gli ex agricoltori, rimasti a dipendere dagli scarsi raccolti e dallo strozzinaggio degli acquirenti: si inventarono un nuovo mestiere approfittando di una Ford, di una Chevy o di una Plymouth. In questo periodo nasce il “bootlegger”, contrabbandiere di alcool ottenuto distillando illegalmente parte del raccolto di granturco e dei frutteti. Caratteristica comune a tutti i bootleggers è l’ingenuity e la consocenza delle strade di campagna frequentate giornalmente, oltrchè certe “conoscenze” in ambienti non proprio esemplari. Il carico (alcool) deve essere il più possibile elevato, per cui la modifica del veicolo, per ottenere più spazio, è praticamente indispensabile; di contro anche la meccanica e la telaistica devono essere adeguate. Si dice (e non da fonte incerta, ma da un pluricampione delle stock-cars, Junior Johnson) che certe vetture potessero raggiungere in prima i 140 orari, la più alta velocità ottenibile da un’auto della polizia. Il boot-legger non si interessa di piste e di competizioni (se non marginalmente) ma sviluppa tecniche di eleborazione e di guida che gli verranno utili alla fine della Seconda Guerra Mondiale.

Molto tempo dopo la fine del conflito, nel 1956, il Congresso degli Stati Uniti approvò il “Federal-Aid Highway Act”, una legge-quadro che pianificava la costruzione delle moderne “Highways”, le famosissime autostrade multicorsia. Per realizzare le quali nacquero e si moltiplicarono le Imprese di costruzione, provocando anche un’altissima richiesta di asfalto: in ossequio alle leggi di mercato, per le quali quando un prodotto è indispensabile a tutti, dapprima aumenta di prezzo, poi si stabilizza ed infine cala di quotazione perchè nessuno lo vuole più, nel 1959 asfaltare due miglia di autostrada o di un ovale era un’impresa economicamente affrontabilissima. Infatti, nel 1959 si inaugura la prima pista ovale asfaltata (prima di Indy, asfaltata nel 1962) destinata a soppiantare definitivamente “the beach”, l’ovale improvvisato di Daytona. 

Da questo momento in poi gli ovali asfaltati (“paved tracks”) si moltiplicano a dismisura e diventano parte del panorama motoristico sportivo americano, pur se accanto ad altri tipi di ovali: dirt per terra battuta; clay per l’argilla; mud per il fango; concrete per il cemento; asphalt per l’asfalto.

Grazie alla libertà operativa offerta da tutte le Associations che regolamentano il turning left la lunghezza del tracciato può variare da un decimo di miglio (circa 160 metri) fino ad oltre due miglia e mezzo (appena più di quattro chilometri); il profilo orizzontale può essere piatto o presentare inclinazioni che variano per i rettifili e per le curve, oppure essere costante per tutto il percorso; evidentemente l’uso di questi differenti tipi di ovale si addice a diverse categorie di veicoli.

Nonostante ciò tutte le piste ovali hanno una cosa in comune: la denominazione delle loro parti principali. Main stright (in gergo “front-stretch”) è il rettifilo dal quale si effettua la partenza, affiancato dalla Main Stand, tribuna principale; al fondo del rettifilo si trova la curva numero 1, o turn #1, cui fa seguito uno dei due short strights, o rettifili più corti, ed a seguire: turn #2, opposite stright (rettifilo opposto, in gergo “back-stretch”), turn #3, un altro rettifilo corto e la turn #4 che immette nuovamente sul rettifilo principale. L’abitudine di numerare le curve, anzichè attribuire nomi come è consuetudine in Europa, è talmente radicata che il prolungamento del tracciato di Indianapolis per l’unica gara di F1 è continuato con la numerazione da T1, turn number one, a T13, turn number thirteen, dove quest’ultima “rinomina” addirittura la curva # 1 a causa dell’inversione del senso di marcia.

Le tribune si chiamano stands, mentre le curve possono anche essere chiamate corners, od angoli. Di fronte allla tribuna principale si trova la pit-area, o zona boxes, dietro la quale c’è la gasoline alley, vicolo della benzina: spesso sostituita dal prato (green) quì, prima della gara, i teams preparano le macchine, avvengono le verifiche tecniche, si trovano i garages coperti ed i servizi, i parcheggi per i mezzi di appoggio. L’inclinazione della pista, rettifilo o curva, si indica col banking, espresso in gradi: banked corners sono curve sopraelevate, banked strights i rettifili inclinati, banked track una pista in cui tutto il percorso è inclinato.

Alcune piste non hanno disegno perfettamente ovale: vi sono piste con sole tre curve (chiamate “tri-oval”) ed altre il cui aspetto ricorda la forma di una D maiuscola (“D”shaped). In più la N.A.S.C.A.R., a seconda delle caratteristiche (lunghezza e banking) degli ovali, propone diverse modalità in competizione, come si vedrà durante l’esame delle “covered wheels”.

Daytona-P-Center02

La “press-room” della N.A.S.C.A.R. alle origini: un cartello ed una tenda...

Daytona02

“The Beach” vista dallla spiaggia con un nebbioso paesaggio della cittadina: altri tempi!

1956DaytonaClassicRacerMaga02

La curva più fotografata del vecchio circuito di Daytona, con la tower della Direzione Corsa.

original-dirt-track02

Il desolato paesaggio che si presentava ai primi frequantatori di oval tracks.

UniontownPennsylvaniaBoardT02

La costruzione di una “board track” in Pennsylvania, nei primi anni dello scorso secolo.

Beverly1921MurphyDePalma02

Murphy (12) e De Palma (4) sulla board track di Beverly Hills nel 1921.

daytona200702

Vista aerea del moderno complesso di Daytona,  una moderna “tri-oval track, completa di pit area centrale e parcheggi per gli spettatori,  esterni.

tracks-directory02
SpeedwaysOnline02
arrows_oy_left06

Your Guide to Race Tracks on the Net.

to-dia02

To the page “DIAGRAMS” to see a TRACK topical design.

translation-f02
designFC02
envelope
business-card02
phone
my Banner
outlook02