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In lingua inglese il vocabolo “tuning” significa letteralmente “accordatura di uno strumento musicale”; per estensione, che meglio sarà spiegata di seguito, “tuning” significa anche “la messa a punto di un motore o di un mezzo meccanico”.

Gli appassionati di motorismo dei tempi andati sostenevano di essere in grado di mettere a punto un motore “ad orecchio”, giudicando dal suono degli scarichi il perfetto equilibrio tra i molteplici parametri che consentono ad un motore di “girare rotondo”, ovvero senza buchi di carburazione, anticipi o ritardi non desiderati nell’accensione, perfetta taratura dei giochi delle valvole e così di seguito: personalmente ricordo molti meccanici che accostavano l’orecchio al manico del cacciavite, con la punta sul coperchio delle punterie, per ascoltare i tic-tic anomali nell’apertura e chiusura delle valvole. In sintesi la “musica” del motore è quasi universalmente accostata a quella degli strumenti musicali.

Sfruttando questo parallelismo, il settimanale National Dragster n. 20 del 30 Maggio 1986, per la penna di Phil Burgess, pubblicò un azzeccatissimo articolo intitolato “Car Tunes”: tunes in lingua yankee significa canzoni e l’articolo è un circostanziato elenco di pezzi musicali che, secondo l’Autore, sono “degni” di essere ascoltati durante i trasferimenti sulle highways o durante il cruising cittadino. Burgess è americano, cultore della drag-race e dichiaratamente amante di hot rods, custom e street cars, dragsters e simili, quindi il suo parere è legato al ”sound” di un 8V generosamente dotato quanto a cilindrata.

Ovviamente la musica, in senso lato, e quella prodotta da un mezzo di trasporto, hanno affinità che soltanto i veri “patiti” possono cogliere: da qui la possibilità che un’auto possa essere anche dotata di impianti di riproduzione del suono capaci di soddisfare totalmente il suo proprietario, qualche volta con esagerazioni che troverebbero miglior applicazione in un soggiorno debitamente coibentato.

Inoltre: mai posseduto una radio multiband, quelle che permettevano di ascoltare anche comunicazioni aero-navali? Su questi pezzi di modernariato visibilissima la manopola “tuning”, per la messa a punto della sintonia sulla lunghezza d’onda desiderata. Assolutamente estranea alla elaborazione di mezzi di trasporto.

Secondo il lessico tecnico “tuning” è, comunque, l’operazione che segue l’assemblaggio di un motore ed ha l’esclusivo scopo di stabilire, o ristabilire, le condizioni perfette per il funzionamento ottimale: fissaggio secondo i parametri stabiliti dal Costruttore o Elaboratore, controllo di giochi e tolleranze, verifica di potenza e coppia erogate. Oggetto del “tuning” può anche essere la trasmissione, l’impianto di alimentazione, accensione e lubrificazione, il complesso telaio-sospensioni, la taratura degli strumenti di bordo.

Nelle competizioni “tuning” è più sofisticato e, di conseguenza, si suole definire “fine tuning” ovvero messa a punto di precisione.

Dubito fortemente che chi, in Europa, ha coniato il presunto neologismo “tuning” fosse al corrente del contenuto dell’articolo scritto da Burgess e sospetto pure che non conoscesse a fondo il vero significato del vocabolo in questione. Il movimento che si riferisce all’elaborazione di veicoli prodotti originariamente in Europa od Oriente è “Import” o “compact” per qualsisi americano. Chi non volesse credere a questa affermazione può verificare: HOT ROD Yearbook n.2 (1962) pubblica un articolo (già apparso su Sports Car Graphic, che ora non esiste più) dovuto a Jerry Titus e John Christy (quest’ultimo autore del primo libro sullo hot rodding) intitolato “Hot Rodding The Imports”: Austin-Healey, Porsche, Renault, Sunbeam-Alpine e Volkswagen.

Sostanzialmente il potenziamento dei propulsori (to soup-up, che nella pronuncia ricorda il francese “soupapes” delle valvole), il loro trapianto (swapping), la sovralimentazione e l’ alimentazione supplementare con Nitrous Oxide Systems sono pratiche applicate dagli hot rodders molti anni (qualche volta lustri o decenni) prima che si riprendessero in considerazione, ultimamente in Europa, per le “import-cars”.

Identico discorso vale per gli interni, le verniciature e le elaborazioni estetiche, già praticate dai customizers immediatamente dopo la fine del secondo conflitto mondiale (circa 1946).

Secondo il senso comune, quindi, ciò che per alcuni europei è “tuning” altro non è che “hot rodding” applicato alla produzione che più ci è familiare, quella che siamo abituati a vedere tutti i giorni sulle nostre strade cittadine o provinciali dell’Europa o di un Paese asiatico.

Stabilito questo non rimane che notare come “hot rodding” e “tuning”, pur praticando la medesima filosofia di fondo ed applicando i medesimi “lavori” ai veicoli, siano in perenne conflitto ideologico alimentato soprattutto da presunte “esagerazioni” addebitate al fenomeno yankee e da discutibili critiche sulla “piccolezza” delle import-cars.

Basterebbe, forse, che in ossequio alla semplice radice filologica dei termini si definissero le varie nazionalità dello hot rodding: americano, europeo, giapponese od orientale.

In definitiva si può dire che, se un rilievo può essere mosso al movimento “tuning”, questo è centrato sul rifiuto aprioristico di qualcosa che esisteva già, qualcosa che è nato con la medesima spinta e che non si vuole prendere in considerazione esclusivamente per partito preso: un atteggiamento di rifiuto che rischia di rendere sterile un patrimonio da valorizzare. Un fenomeno di costume coscientemente privato delle basi e dei necessari approfondimenti, che altro non sono se non i suoi inconfutabili e profondi legami con lo hot rodding.

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Una stampa del Secolo XIX che spiega il significato del vocabolo “tuning” :”The Tuning of the Bell”, titolo della stampa, significa letteralmente “l’accordatura della campana”.

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Questo Hummer è stato sottoposto a lavori di “tuning”: ciò che uno hot rodder patito dello “off road” non avrebbe mai conservato sono le gomme ed i cerchi, chiaramente sottodimensionati.

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L’interno di questa vettura, sottoposta a lavori di tuning, trae origine da una drag-car, con gli strumenti ausiliari posti sopra il cruscotto. Chi ha realizzato il lavoro non lo sapeva e, probabilmente, non ha pensato che il colore dell’interno potrebbe creare riflessi fastidiosi durante la guida, soprattutto di notte.

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Questo è un ottimo esempio di “tuning” ed è per questo motivo che Donald Garlits (veterano americano della drag race) può sostenere che i “tuners” fanno veramente un buon lavoro (v. CRUISIN’ n. 22)

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Questa apparecchiatura è indispensabile per il “fine-tuning” meccanico di una vettura da competizione: serve ad ottimizzare i flussi di miscela dal carburatore (o dagli iniettori) fino alla camera di scoppio. La denominazione esatta è “flowbench” (ottimizzatore di flussi).

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