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Moltissime persone hanno visionato “Giorni di Tuono”: durante la proiezione si impara una cosa importante. L’attempato ed esperto meccanico dice al novellino: “ora farai cinquanta giri come vuoi tu e poi farai cinquanta giri come dico io: vedrai che le gomme non si rovineranno”.

L’importante (e questo si intuisce soltanto) non è tanto non rovinare le gomme, quanto capire che rovinando le gomme, pur essendo un Pilota, si è guidato male.

L’affermazione comune, al riguardo delle piste ovali, consiste nel fatto secondo il quale si tiene sempre l’acceleratore a tavoletta, come se i piloti guidassero su una highway deserta. I partecipanti ad una gara come Indianapolis sono 33 ed in una competizione tra stock cars non è inusuale si raggiunga, e superi, la quarantina. Quindi la pista non è sgombra. Pur se le vetture raggiungono i trecento od i duecento chilometri all’ora di media. Per lunghezze complessive che variano da centosessanta (100 miglia) ad ottocento chilometri (500 miglia).

Per guidare correttamente (in tutti i casi, ma specialmente) su un ovale sono indispensabili almeno tre fattori basilari: la conoscenza della vettura; la conoscenza degli avversari; la conoscenza di se stessi. Il quarto fattore è la conoscenza specifica della pista sulla quale si corre in quel momento.

La macchina è in grado di trasmettere segnali al pilota, attraverso un codice consistente in rumori, vibrazioni e torsioni che possono essere considerati “standard”, ovvero usuali, quando tutto va bene. Una lieve modifica in ognuno di questi segnali può, e deve, far pensare che lo standard sia stato superato, verso l’alto o verso il basso, in ogni caso alterato: se si è alterato il codice è alterato anche chi lo trasmette e se ne deve dedurre che la richiesta è, sempre, “riporta le cose alla normalità”.

Richard Petty era accreditato, dal fratello, meccanico, di “sapere più cose sulle sospensioni di chiunque altro, nel giro”: per capire diciamo subito che Richard ha guidato, in gara (esclusi i giri di prova e le messe a punto) per quasi mezzo milione di chilometri, ma fin dall’inizio è stato capace di capire la macchina, di adattarsi ad essa e con questo ha vinto sette titoli N.A.S.C.A.R. e sette volte a Daytona, una pista velocissima. Richard Petty non è mai stato definito “piedone”. Se ne deve dedurre, anche se vittima di qualche incidente, che Petty ha (quasi) sempre capito il codice della sua macchina. E capire significa rimanere concentrati sui segnali e sulla loro intensità.

I codici provengono dal motore attraverso il “sound” ed attraverso gli strumenti quali il contagiri, il termometro dell’acqua, il manometro dell’olio: questi ultimi segnalano i valori raggiunti ed il pilota deve ricordare quali valori massimi il capo meccanico o lo specialista gli ha raccomadato di non superare. In curva od in rettifilo.

Altri segnali arrivano in maniera meno diretta di quanto non sia una lettura del contagiri od un bel rombo pieno: dalle gomme, dalle sospensioni ed attraverso il telaio al cui roll-cage il pilota è legato dalle cinture di sicurezza, molto ben strette, dal volante, dalla leva del cambio (poco usata) dal pavimento della vettura. Non basta saper dire “c’è qualcosa che non va”, bisogna saper rispondere istantaneamente alla domanda: “che cosa non va?” perchè, attraverso la radio si deve segnalare l’anomalia al capo meccanico che predisporrà, se del caso, un pit-stop con i meccanici giusti, solo cinque oltre il muretto.

Con un pò di pratica e qualche giro di pista un Pilota ben dotato può capire se è la pressione dell’olio od una gomma un pò più sgonfia a rallentare la vettura. Si deve rientrare. In che posizione è la macchina, rispetto agli altri concorrenti ed in pista? Ovvero quante curve, prima del “main stretch” dove ci sono le pits? Per capirci è come scoprire che l’uscita del casello è a meno di trecento metri, noi siamo sulla terza corsia e su quella di destra c’è una fila di camions: mai provato a duecento all’ora? Senza danni, naturalmente.

Con questo arriviamo alla conoscenza degli avversari. Un tempo le vettura dei “rockies” avevano i paraurti dipinti di giallo, proprio per segnalare ai veterani che manovre azzardate in prossimità di un “yellow bumper” potevano portare direttamente al “green” del prato (fuori pista, insomma). Per i Piloti novellini delle open wheels si richiedevano giornate intere di “practice runs”, giri di prova. Allora: quanti sono dietro? C’è il tuo diretto avversario? E’ in difficoltà o gira tranquillo? Sono tutti più veloci di te? E’ il caso di fare un segnale con il braccio? Nel novantanove per cento dei casi un comune automobilista in autostrada (che pure dispone di segnalatori di direzione) avrebbe già superato il casello.

Prendiamo in esame, ora, una situazione “tranquilla”: un bel gruppone compatto di almeno venti vetture su due o tre file. Tutti i segnali “sono OK” e sarebbe ora di tentare un allungo per guadagare posizioni e, magari, fare un giro in testa, che porta punti (e denaro). A destra il ”wall”, anche se S.A.F.E.R., a sinistra due avversari, davanti altri quattro o cinque, dietro almeno una dozzina, tutti con la tua stessa idea. Una decina di centimetri davanti e dietro, per sfruttare la scia, un poco di più ai lati.

Una situazione come quella descritta si risolve, pare naturalemnte e con una certa facilità, quando dal gruppone sbuca, dopo la curva più vicina, una macchina, prima neppure notata: il suo Pilota ha usato l’arte di anticipare, ben conoscendoli, gli sviluppi della situazione prima cristallizzata dalla presenza di qualche rockie, dalla posizione in classifica degli altri, dalle abitudini al risparmio (della meccanica) di qualcuno, dalle traiettorie obbligate di quelli in posizione più svantaggiata. In più, con tutta probabilità, questo Pilota è abituato a sterzare con dolcezza e conosce molto bene le proporzioni sulle quali si basa il bilanciamento della propria vettura (rear/front e left/right).

Tutte tecniche, tattiche e strategie che provengono dall’esperienza e dalla (probabile) frequentazione di una “Racing School” nella quale, prima di salire in macchina si visionano filmati, si  esaminano diagrammi e schemi e si “gioca” al computer per simulare situazioni note o meno note e, successivamente, trarne insegnamenti. Anche se si guida una Mini-Sprint.

La “Racing School” ci porta alla conoscenza di se stessi, La passione per la guida, la velocità e le competizioni non presuppongono necessariamente il possesso delle doti necessarie ad eccellere in uno sport nel quale migliaia di altri possono essere “naturalmente” più dotati. Ne consegue che il “trainer” (quasi sempre ex Pilota) deve essere in grado di far capire all’aspirante quali tendenze inconsce devono essere favorite e quali altre corrette, modificate o abbandonate, con un lavoro che, sempre più spesso, non si svolge in pista ma nello studio e nel training a livello psicologico. Chi non dovesse credere a queste affermazioni deve soltanto tentare un calcolo elementare: alla velocità di centoventi chilometri orari (velocità “autostradale”) la vettura percorre un chilometro in trenta secondi o trentatre metri al secondo, o circa sei, sette volte la lunghezza della vettura. A questa velocità siamo tutti, chi più, chi meno, abituati. A duecento all’ora si percorrono più di cinquanta metri (10 volte la lunghezza della macchina) al secondo ed a trecento oltre ottanta (16-17 volte). Se non si è abituati a calcolare istantaneamente le conseguenze (quale posizione occuperà la mia macchina, e quale altra sarà quella dei miei avversari) ci si può trovare dopo duecento metri in un vero guaio e non è quello che si voleva!

Infine non si deve dimenticare che i segnali della macchina, le azioni degli avversari, e le loro reazioni, variano da pista a pista: c’è chi odia la Bristol Speedway (ed i Giornalisti specializzati scommettono sull’incidente di quel Pilota) e chi non sopporta le alte velocità di Talladega; chi si trova bene sulla terra e chi preferisce l’asfalto. Tra tutte le altre informazioni che devono essere “disponibili” all’istante, un buon Pilota del turning left tiene conto anche di questi fatti memorizzati a livello inconscio. Senza stress e senza sforzo apparente perchè è abituato o, semplicemente, ha voglia di vincere.

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Sopra: l’ “inspiegabile” motivo per cui si preferisce guidare in lughi “trenini”: la velocità di tutte le vetture aumenta di circa 3-5 mph.

 

 

A lato: un chiarissimo disegno esplicativo dello “stagger” che ha consentito di eliminare quasi totalmente l’asimmetria delle sopsensioni.

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