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“Car Craft Annual 1985” è un testo che pochi reputano indispensabile avere nella propria biblioteca. Chiunque voglia avere una vaga idea di che cosa rappresentò, ed ancora oggi rappresenta, il fenomeno “muscle cars” rispetto al motorismo americano, dovrebbe leggersi “The Performance Years 1962-71”, sessanta pagine (compresa la pubblicità) ristampate dai servizi pubblicati su diversi numeri della rivista nel corso del 1984. Le “macchine con i muscoli” non solo rappresentano l’ultima diretta conseguenza del Memorandum Zora Arkus-Duntov, ma, effetto della prima causa, sembrano avere influenza anche sul collezionismo di auto dei giorni nostri.

Le muscle cars sono incluse nel capitolo “The Street” perchè vennero prodotte e commercializzate, così come erano, quali veicoli “streetable”, guidabili su strada e regolarmente immatricolabili da chiunque. Si deve, in ogni caso, precisare che molti Clienti delle Big Three non furono immediatamente soddisfatti da ciò che le Pubblicità promettevano: molti modelli della prima serie (di tutte e tre, 4 con AMC, le Marche) soffrivano di congeniti e rilevanti problemi dovuti alla fretta con la quale erano stati immessi sul mercato, precipitazione che, in un primo momento, poteva semplicemente prevedere un motore di generosa cubatura (ed alta cavalleria) al quale non erano ancora accoppiati adeguati impianti di raffreddamento, freni o cambio.

Il principio di base secondo il quale le muscle cars vennero commercializzate è riassunto nel brevissimo slogan “Win on Sunday, Sell on Monday”: Vinci la Domenica, Vendi il Lunedì. Ancora una volta lo slogan e la politica commerciale di Detroit non venne capito in Europa perchè, già allora, non si sapeva un accidenti di drag race e circle tracking.

Questi due sports erano invece tenuti d’occhio nello Stato del Michigan perchè erano praticati da quegli hot rodders citati nel Memorandum e si sapeva benissimo che le loro esigenze erano condensate in quell’altro detto “no substitutes to big inches”, non ci sono alternative alle grosse cubature, se si vogliono prestazioni di un certo livello. Un accostamento irriverente a questa mentalità ci porta ad Enzo Ferrari, il quale era determinato a dotare le proprie Gran Turismo di propulsori in cui “i pistoni devono essere grossi come fiaschi” e con questa più nota affermazione credo si possa concludere la spiegazione, senza tirare in ballo il rapporto corsa:alessaggio e la conseguente relazione con potenza e coppia sviluppate.

Il profondo legame esistente tra il mondo dello hot rodding e le Fabbriche è sempre stato, in qualche modo, reso invisibile e mai troppo dichiaratamente ammesso, nonostante esistano le prove incontrovertibili della sua esistenza: in primo luogo le pubblicità dell’epoca.

La Ford, nel 1965, diceva: “Dopo aver provato il nostro “427” vi sentirete come un vegetariano che ha avuto il suo primo assaggio di carne...”. Qualcosa di molto più esplicito, invece, caratterizzò la politica della Chrysler negli anni seguenti, con la creazione delle “Performance Clinics” affidate a Dick Landy per la Plymouth ed a Sox & Martin per la Dodge, due Teams di hot rodders dichiarati ed impegnati nella drag race; sul fronte delle stock cars è indimenticabile il sodalizio della “pentastar” (stella a cinque punte, logo della Chrysler) con Richard Petty, “The King”.

Dal canto suo la Chevrolet non accettava altro che sfide con la sua perentoria dichiarazione: “la Chevelle dovrebbe avere un effetto ipnotico su tutte queste tigri (Pontiac GTO) e sui loro domatori (i Piloti)”, mentre affidava a Don “Dyno” Nicholson (altro hot rodder e drag racer) la difesa del Marchio sulle strips di tutta America.

In questa atmosfera un anonimo Concessionario di una Marca non nominata ebbe a dichiarare: “...non facevamo in tempo ad esporre le auto che già dovevamo piazzare sul parabrezza il biglietto “Sold out” (venduta), ma la cosa più strana che mi capitò in quel periodo fu un distinto signore entrato come una furia nel mio ufficio: mi chiese se quella macchina fosse quella che guidava il Tale sulla strip. Alla risposta affermativa tirò fuori il libretto di assegni e mi chiese quanto costava averne un esemplare esattamente identico, decals comprese, a quello del Tale: ricordo benissimo che fui obbligato a fare una dozzina di telefonate prima di poter concludere, beninteso accogliendo tutte le richieste del Cliente, con il beneplacito dell’Ufficio Vendite della Casa Madre”.

Dopo il 1971, e l’ennesima ma non ultima crisi petrolifera, le muscle cars lasciarono spazio alle “pony cars”, quelle nelle quali i “mustangs” (cavalli selvaggi) furono soppiantati da più tranquilli propulsori, in regola con tutti i “Pollution Acts” (Leggi Antinquinamento) a venire: ma non tutti erano d’accordo. E’ in quello stesso periodo e sull’onda del ricordo delle prestazioni esaltanti della passata produzione, che qualcuno (HOT ROD Magazine, se non ricordo male) sentenziò: “queste sono tre quarti di macchina, non auto!”.

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