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“Li’l Coffin” (Piccola Bara) è il primo modello in scatola di montaggio affrontato da mio fratello Aldo e da me, nel lontano 1965, mi pare di ricordare. Con quella serie di rettangoli argentei contenenti indifferentemente fari, carburatori e cerchioni, attraverso i disegni del foglio di istruzioni estremamente dettagliato, scritto in inglese, affrontammo due avventure: il montaggio vero e proprio (difficilissimo) ed il primo approccio alla nomenclatura (puro, incomprensibile ed intraducibile “slang” tecnico) anglosassone di automobili, hot rods, custom cars e drag cars.

Dopo aver fatto razzia, in tutta la Provincia di Imperia e Savona, di ogni scatola di montaggio reperibile, ci rendemmo conto che avremmo dovuto, anche, rastrellare le Rivendite di Giornali (allora Hot Rod, Rod & Custom, Car Carft, Popular Hot Rodding e Car & Driver erano esposti con l’etichetta adesiva del prezzo, da 300 a 600 lire) e, successivamente contattare qualcuno (National Hot Rod Association ed American Hot Rod Association) per essere in grado di “capire”.

Consiglio questo “iter” (lungo, dispendioso e frustrante) a chiunque.

La scatola di montaggio (in plastica o metallo) ha un fascino tutto particolare ed è (od almeno, per noi è stata) uno strumento didattico insostituibile. Tutti i componenti della vettura, dalla scatola dello sterzo allo stampo della carrozzeria, devono essere individuati ed accostati a quello complementare fino a comprendere che il Chrysler “Firepower” non è normalmente alimentato da sei carburatori Stromberg piazzati su un collettore di aspirazione autocostruito, nè, tantomeno, rifinito con un lunghissimo collettore di scarico piazzato sotto il predellino “scatolato”. Procedendo per gradi, anche le tecniche dai nomi assurdi (chopping, lowering, sectioning e così via) si vedono, si comprendono e si assimilano meglio; trasmissioni automatiche con il convertitore di coppia accostate ad un Muncie meccanico a quattro marce fanno capire molte più differenze di quanto non possa un testo di duecento pagine (pur sempre necessario al “vero” hot rodder); il differenziale “quick change” ed il nove pollici Ford, se il modello è abbastanza dettagliato, aprono letteralmente nuovi orizzonti nella scoperta dell’architettura di un veicolo.

Un altro pregio di molte scatole di montaggio è la possibilità di costruire due (a volte anche tre) versioni del medesimo modello: quando, negli anni settanta, iniziò a diffondersi la moda delle Funny Cars, la Plymouth “Barracuda” poteva essere montata come auto classica o veicolo elaborato: contando ed osservando i pezzi non utilizzati, Aldo ed io capimmo immediatamente che la tecnica usata era quella delle Altereds, perchè avevamo già realizzato una Fiat Topolino ed una Willis Altered. Il risulato si risolse nell’acquisto di una seconda scatola per meglio visualizzare e confrontare anche l’assetto delle due macchine.

Infine riuscimmo a comprendere appieno lo hot rodding, utilizzando, come realmente fa il vero hot rodder, ciò che era rimasto di inutilizzato: e costruimmo il più bel modellino della nostra collezione: un dune-buggy water-pumped con sedili anatomici e bandierina su una altissima antenna realizzata con filo elettrico in rame. Non parliamo di verniciature: utilizzando un centrino ricamato da mamma, riuscimmo a realizzare una paint-job “quasi” psichedelico su una semi-custom.

Nel terzo millennio, in Italia, non è molto agevole, anche se non impossibile, reperire scatole di montaggio (in qualsiasi scala, pur se la 1/24 e il minimo indispensabile) che propongano hot rod, custom e drag cars. Ma anche in questo caso la rete, una “prepagata” ed un pò di pazienza possono regalare soddisfazioni. Per gli URL adatti il riferimento è, sempre, a “Yellow Pages”.

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